Un museo sul fondale: scoprire i tesori sommersi d’Italia

Oltre la superficie turchese del Mediterraneo, lungo le coste italiane, giacciono secoli di storia sotto forma di relitti, città sommerse e strutture portuali.

Con oltre mille siti archeologici subacquei mappati, l’Italia possiede uno dei patrimoni sommersi più ricchi al mondo: un vero e proprio museo diffuso che abbraccia un arco cronologico amplissimo, dalla preistoria all’età moderna. Negli ultimi anni, questo straordinario giacimento culturale è tornato al centro dell’attenzione grazie a progetti di ricerca e valorizzazione e all’istituzione, nel 2021, della Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo.

Ecco alcuni dei più affascinanti musei sottomarini italiani.

Baia e Gaiola: l’Atlantide romana dei Campi Flegrei

Nel Golfo di Napoli, il Parco Archeologico Sommerso di Baia offre una delle esperienze subacquee più spettacolari del Mediterraneo. Tra i 5 e i 15 metri di profondità si conservano i resti di sontuose ville marittime romane appartenute all’aristocrazia imperiale, lentamente sprofondate nel corso dei secoli a causa dei movimenti bradisismici dell’area.

Queste residenze, affacciate sul mare, erano dedicate all’otium e comprendevano ambienti di rappresentanza, giardini, impianti termali e peschiere. Tra le strutture più note spicca la Villa dei Pisoni, databile al I secolo a.C., oggi visitabile attraverso percorsi subacquei che consentono di nuotare tra porticati e pavimenti a mosaico.

Nello stesso contesto si inserisce il Ninfeo di Claudio, edificio monumentale del I secolo d.C., riconoscibile per le nicchie che ospitavano statue celebrative. Le strutture originali, ormai colonizzate da organismi marini, sono oggi affiancate da ricostruzioni scultoree che restituiscono la solennità dell’ambiente.

Poco distante, lungo la costa di Posillipo, il Parco Sommerso della Gaiola protegge i resti della villa di Publio Vedio Pollione, parte del vasto complesso di Pausilypon, passato, dopo la morte del proprietario, sotto il controllo dell’imperatore Augusto. Sui fondali sono visibili gli approdi e, soprattutto, le peschiere, vasche per l’allevamento dei pesci. A queste strutture è legato il celebre aneddoto, riportato dalle fonti letterarie antiche, secondo cui Pollione avrebbe punito i suoi schiavi gettandoli alle murene: un racconto che riflette più la fama di crudeltà del personaggio che non prove archeologiche dirette.

Testimonianze dei traffici marittimi: dalla Calabria alla Puglia

Anche le rotte commerciali che per secoli hanno attraversato il Mediterraneo sono esplorabili attraverso l’archeologia subacquea.
In Calabria, al largo di Capo Rizzuto, il relitto chiamato Punta Scifo D giace a soli 5 metri di profondità. Si tratta di una grande navis lapidaria, una nave per il trasporto di marmi, naufragata nel III secolo d.C. Il suo carico di 54 blocchi di marmo bianco provenienti dall’Asia Minore è ancora disposto sul fondale come al momento dell’affondamento.

Sempre in Calabria, il sito sommerso di Kaulonia, presso Monasterace, conserva a profondità accessibili (tra i 5 e i 7,5 metri) un’area di lavorazione con colonne e blocchi lapidei, testimonianza diretta dell’attività produttiva della città antica.

In Puglia, a Fasano, l’antico porto di Egnazia è oggi sommerso fino a 6 metri. I lunghi moli realizzati in cementizio romano, ancora ben visibili, attestano l’elevato livello dell’ingegneria marittima antica e l’importanza strategica di questo scalo lungo le rotte adriatiche.

Oltre le rovine: ricerca e tecnologia per un patrimonio condiviso

E nonostante i nostri mari siano molto ricchi, i laghi non sono da meno.
Nel Lago di Mezzano, nel Lazio, ricerche subacquee hanno portato alla luce un villaggio palafitticolo dell’Età del Bronzo, ampliando lo sguardo sull’archeologia subacquea in ambienti lacustri. Progetti avanzati come Aquileia Waterscape, nell’Alto Adriatico, stanno invece ricostruendo, con sonar e sistemi GNSS, il complesso paesaggio portuale sommerso della colonia romana, rivelando nuovi relitti e strutture.

La sfida attuale è rendere questo patrimonio accessibile e comprensibile a tutti. La ricerca archeologica si affianca sempre più alle tecnologie digitali: rilievi fotogrammetrici, modelli 3D e applicazioni di realtà virtuale permettono oggi di “navigare” tra i mosaici di Baia e il carico di Punta Scifo anche fuori dall’acqua, all’interno dei musei e dei centri di visita.

Questi siti sommersi sono archivi aperti sulla storia del nostro rapporto con il mare, ma anche osservatori privilegiati dei cambiamenti climatici e geologici del passato. Proteggerli e raccontarli significa preservare una memoria collettiva che riaffiora, onda dopo onda, dalle profondità del Mediterraneo.